More fun
Want to support CHYOA?
Disable your Ad Blocker! Thanks :)

Chapter 5 by heykiza heykiza

What's next?

cambiamenti

Andai a letto con quel pensiero che mi frullava in testa e infatti feci molta fatica a prendere sonno e comunque fu una nottata molto disturbata.

Mi svegliai e guardando fuori stava ancora albeggiando, restai ferma a letto perché sentii un enorme dolore allo stomaco, sembrava come se qualcuno continuasse a premere sulla mia pancia facendomi un male atroce, quasi mi mancava l'aria e oltre la sete mi accorsi essere molto sudata, poco a poco lo stordimento mi passò, pensai che da li a poco il dolore sarebbe passato me sentivo una sensazione umida e calda tra le mie gambe, di primo impatto pensai di essermela fatta sotto e l'idea mi imbarazzò moltissimo ma quando tolsi la coperta vidi il mio pantalone imbrattato di sangue, di primo impatto urlai, fu un gemito di spavento forte e rapido ma poi mi calmai mettendomi seduta, non sapevo cosa fare, se stare ferma li o andare in bagno.

Il vantaggio di aver avuto il primo ciclo a quindi anni fu che ero già preparata alla cosa, sapevo che prima o poi mi sarebbe accaduto mentre avevo amiche che a soli dieci anni si sono svegliate e hanno urlato come matte.

Io avevo solo l'imbarazzo per aver reso il mio letto una scena di CSI.

Chiamai mia madre che dormiva nell'altra stanza, dovetti chiamarla più volte visto che erano le sei del mattino, poverina che mi portò a casa la scorsa notte dovette andare in ospedale a lavorare e scommisi che si era da poco messa a letto.

Dopo tre o quattro volte vidi la porta aprirsi, non fece in tempo a chiedermi cosa ci fosse, quando si accorse esclamò un "oh signore!" e la cosa fu tanto buffa che nonostante il male atroce ridacchiai.

"che cazzo devo fare?" le domandai e lei ancora addormentata mi fece cenno d'alzarmi.

"le parole" mi rimproverò.

Sei fortunato ad essere nato uomo Cheese, non hai idea di cosa cazzo significhi una volta al mese vivere con un costante dolore allo stomaco, alle volte e debilitante e soprattutto le prime volte mi ritrovavo piegata a metà, quasi sull'orlo del piangere, immagina davvero di avere un piede che continua a premere sulla tua pancia, toglie il fiato, per non parlare degli sbalzi di umore.

Quando avevo le famigerate "mie cose" diventavo più intrattabile di quanto già non lo fossi, odiavo che sul pullman facessero casino, odiavo l'odore delle merendine, odiavo sentirle mangiare e odiavo tutti gli stupidi argomenti che facevano quei ragazzini.

Ogni volta che arrivavano volevo solo addormentarmi per poi svegliarmi sei giorni dopo, il lunedì dopo quella festa quindi non poteva che iniziare alla grande, io in quello stato che dovevo affrontare cose come cambiamenti, Matteo e Riccardo. Non ne sarei uscita viva probabilmente o quasi citando... peggio ancora mi sarei fatta espellere.

Quando vidi Matteo in classe stavo per salutarlo ma lui mi anticipò bloccandomi.

"ho saputo venendo a scuola che ti sei messa con Riccardo" mi disse secco e freddo, in quel momento stavo così male che non volevo sentire discussioni sapevo che mi avrebbe fatto storie quindi istintivamente "attaccai io".

"si, me lo ha chiesto ho accettato, non mi va di discutere" dissi camminando verso la sua destra, sedermi sarebbe stata l'unica cosa che mi avrebbe dato un po più di sollievo ma lui mi bloccò la strada.

"potresti anche essere più gentile, ti ho solo detto quella cosa, volevo dirti che voglio tu sia felice" mi disse.

Prima finiva quella conversazione meglio era, non c'è l'avevo con lui anche se il mio tono diceva l'opposto.

"grazie, davvero... adesso voglio andare a sedermi" esclamai quindi muovendomi verso sinistra ma lui ancora si mise davanti per non farmi passare.

" Matteo, dai mollami ne parliamo dopo" cercai di spingerlo via e lui mi afferrò le braccia, entrambi iniziammo a strattonare perché lui voleva tenermi li.

"adesso che hai il ragazzo e figo e nuovi amici non mi caghi più?! Sono questo per te?!" gridò lui facendo girare anche gli altri che ci intimarono di smetterla prima che qualcuno ci potesse vedere, del resto i prof sarebbero entrati a momenti.

Io continuavo semplicemente a chiedergli di lasciarmi andare a sedere ma lui mi riempiva di continue domande, non ne potevo più.

Ero stufa di sentirlo gridare e nemmeno lo ascoltavo più, diceva frasi sconnesse fin quando ad un tratto non gli diedi una sberla violenta in faccia.

Riecheggiò in tutta la classe e tutti restarono di stucco, guardai lui visto che quel suono mi aveva riportato alla realtà, mi guardai attorno notando che tutti si erano ammutoliti e poi tornai a guardarlo nei suoi occhi.

<< è questo il tuo modo vero? Risolvi sempre così le cose tu >> mi disse con tono deluso mentre poggiò una mano sulla sua guancia arrossata. Mi lasciò andare e in quel momento entrò anche Riccardo che come mi vide mi diede un pizzicotto leggero sul fianco.

"dopo scuola facciamo un giro?" mi domandò e quando si accorse che io non gli risposi mi domandò cosa avessi.

Gli dissi di non preoccuparsi e che dopo avrei girato con lui così mi diede un bacio sullo zigomo e se ne andò.

Nessuno parlò di quel gesto ma sentendo i pareri della classe avevo fatto bene a dargli quella sberla e tutti, per colpa mia, iniziarono a prendere di mira Matteo.

Me ne accorsi già dal primo giorno, gli lanciarono dei bigliettini e cose simili, durante l'intervallo alcuni lo vessarono e nonostante lui non mi parlò io andai dai ragazzi per dirgli di smetterla. Non servì nemmeno il mio intervento, perfino Riccardo quando scoprì la cosa addirittura voleva alzargli le mani, fui io stessa a dirgli che se lo avrebbe fatto non gli avrei più parlato.

Io lo avevo picchiato e lui ne stava pagando le conseguenze, sapevo di essere nel torto e sapevo che stavo facendo male alla prima persona che mi aveva dimostrato amicizia, non ero quel tipo di ragazza.

Io non lo disprezzavo e sicuramente non avrei aizzato nessuno contro di lui ma tutta quella precipitosa situazione aveva dipinto lui come un rompi palle che stressava me in cerca di attenzioni.

Mi dissero cose assurde o meglio cose alla fine vere ma assurde per la me di quei tempi, che lui era innamorato di me. Aggiungevano anche che uno come lui non poteva stare con una come me dicendo poi che formavo una coppia bellissima con Riccardo.

Più lo conoscevo e più quell'ultima frase si fece vera, ai miei sedici anni, compiuti il ventisette febbraio, mi regalò una collanina d'oro con una farfallina al centro.

Anche al mio compleanno ci fu tanta gente; gli amici di Riccardo ormai anche amici miei così come Giacomo e Linda, i ragazzi con cui uscivo ogni tanto, tutti erano lì, mancava Matteo ma ormai mi ero abituata all'idea che ormai non eravamo più amici.

Più passava il tempo e più Riccardo diventava importante per me, all'inizio mi ci ero messo così, tanto per, una stupidata ma in realtà notai che ogni volta, nonostante fossimo in classe assieme, avevo sempre più voglia di rivederlo e quando pensavo a lui, a quei ciuffi biondi.

Mi sentivo scaldare il petto.

L'idea, la consapevolezza che lui mi era accanto, il fatto che ci appartenevamo e tutti lo sapevano.

Alle volte per quanto in realtà non era una bella cosa, mi faceva piacere quando quelli che non mi conoscevano parlando di me dicevano "la tipa di Riccardo".

Mi era successo un paio di volte di sentirli e quando accadeva mi avvicinavo, dicevo il mio nome e li lasciavo stare.

Cercavo di essere il più amichevole con tutti e di recuperare con Matteo ma era inutile, ogni volta che mi avvicinavo lui mi guardava solo male facendomi solo qualche brutta frecciatina e tutte le volte ci restavo di merda.

Riccardo si arrabbiava quando andavo a parlarci, non tanto perché geloso ma perché ogni volta mi trattava di merda e io ci restavo male.

Diceva che un idiota simile non meritava le mie attenzioni e che faceva apposta nel comportarsi così in modo che io mi preoccupassi per lui e che mi sentissi in colpa.

E intanto i giorni passavo, in quegli anni andava più o meno sempre uguale; pullman, scuola e poi fuori a Firenze con Riccardo e gli altri, nel gruppo c'erano anche Giacomo e Linda, con quest'ultima diventai parecchio amica cosi come con Jacopo.

Stavo bene con loro e ogni volta passavamo interi pomeriggi a ridere e scherzare, solitamente andavamo in una gelateria dove facevano un gelato così buono che noi lo chiamavamo "droga" e puntualmente Riccardo pagava il mio anche se protestavo, i soldi li avevo e non mi andava che ogni volta pagasse anche per me. Un giorno come tutti gli altri disse a me e agli altri di aspettarlo lì, che sarebbe tornato subito, io non capii dove stesse andando ma non feci domande e come tutti gli altri lo guardai uscire e sparire dalla vista.

Restata lì con gli altri mi domandarono come procedeva tra noi, arrivarono a chiedermi se avessimo mai fatto sesso.

Diventai rossa e feci cenno di no, fino a quel punto ci eravamo baciati, anche toccati ma mai eravamo arrivati fino a quel punto, comunque se mi imbarazza raccontare queste cose, immagina quando ero una sedicenne.

Cercai quindi di sviare il discorso ma pochi minuti dopo Riccardo tornò dandomi un bacio sulla nuca.

Gli domandai dove fosse andato e non solo io ma lui disse semplicemente di aver visto degli amici che li aveva inseguiti per salutarli, anche se mi sembrava troppo strana come cosa.

Suonava tanto di scusa ma non insistetti troppo.

Più o meno a fine giornata eravamo rimasti io e lui, ci eravamo appartati in un viottolo poco frequentato e con le spalle al muro stavo pomiciando con lui.

Ricordo ancora le sue mani suoi miei fianchi o sul mio viso, il modo in cui mi teneva la nuca e quel suo baciare che a quei tempi mi faceva tremare.

<< è tutto ok? Riccardo? >> gli domandai in un attimo nel quale le nostre bocce si staccarono.

<< certo, ancora per la storia della gelateria? >> domandò lui sorpreso.

Più mi parlava in quel modo, oltretutto con quello sguardo, più capivo che sotto sotto c'era qualcosa che non voleva dirmi.

<< ho come un sesto senso per queste cose e se c'è qualcosa che non va vorrei che me lo dicessi >> mi raccomandai ma lui fece cenno di no e sorridendo tornò a baciarmi per poi guardarsi attorno.

Iniziò a baciarmi il collo mentre infilò una mano nei miei pantaloni.

Ero spaventata, poteva arrivare chiunque e vederci ma lo lasciai fare per un po.

<< voglio farlo con te >> mi disse.

Ovviamente mi spaventai e prendendolo per le spalle lo allontanai guardandolo in faccia.

<< qui?! Sei grullo per caso? >> gli domandai e lui scoppiò a ridere dandomi un pugnetto sulla guancia.

<< ma no, che dici! Non intendo ora >> esclamò ancora ridendo, mi sentii stupida ma ridetti anche io.

<< eh... non lo so, sembrava! >> esalai per poi guardarlo negli occhi, uno sguardo complice mentre dentro di me sentivo di essere pronta, che volevo provare a fare l'amore con lui.

<< va bene, faremo l'amore >> risposi tornando poi a baciarlo con dolcezza.

Quello che non sapevo era che al tempo Riccardo spacciava erba, la comprava da un tipo che conosceva e la rivendeva ai ragazzi della scuola o anche ad altri. Quel dettaglio mi costò uno degli eventi più traumatici del mio periodo alle superiori, in genere se una ragazza fa attenzione ai giri che frequenta, raramente si trovava immischiata in questioni di droga e simili, quante probabilità c'era che una studente dai voti altissimi e con una famiglia benestante si ritrovasse per terra col viso imbrattato di sangue?

Mi accadde e quella fu la miccia che davvero mi convinse ancor di più ad arruolarmi per non permettere a nessuno di farmi quello che quei bastardi mi fecero.

Pioveva e anche abbastanza forte quindi il pavimento fatto in grossi ciottoli era umido, a tratti anche scivoloso.

Mi trovavo con Riccardo in un viottolo vicino piazza sant'elisabetta, praticamente adiacente al duomo di Firenze.

Pochi minuti prima eravamo proprio lì ma Con una scusa Il mio ragazzo ci portò via, così lo seguii e quello fu l'inizio del dramma perché percorrendo quel viale alcuni ragazzi, probabilmente più grandi di noi ci bloccarono la strada, era ovvio che non volevano farci passare così senza lasciarmi parlare Riccardo mi afferrò il polso e tornammo indietro ma altri ragazzi ci bloccarono.

Domandai ripetute volte cosa stava succedendo.

<< sentite non ora, c'è la mia ragazza qui >> Esclamò lui e la risposta mi lasciò sconcertata.

<< non puoi fregarci e farla franca perché te ne vai in giro con la tua puttanella >> rispose uno mentre si avvicinavano.

Ero spaventata, non capivo perché ma sapevo che quelli avrebbero fatto del male a Riccardo e probabilmente anche a me.

<< fregati? Oh! Riccardo ma che cazzo stanno dicendo? >> urlai strattonandolo ma non mi ascoltò.

<< restituisci i soldi e c'è ne andiamo >> aggiunse un altro e mi girai per guardarlo così questo stronzo mi fece l'occhiolino mandandomi un bacio.

<< quindi tu vendi merda alla gente e poi ti fai bello con la tua troietta rossa mh? >> uno si scagliò contro Riccardo che però non era un provveduto, facendo arti marziali miste iniziò a picchiarlo e l'aggressore si ritrovò in terra ma gli altri caricarono.

In un attimo ci furono addosso, tutti urlavano e non si capiva niente.

Chiedevo per favore di smetterla mentre volavano calci e pugni contro il mio ragazzo che per quanto bravo a difendersi non riuscì a gestire quel gruppo di ragazzi finendo per terra sotto una pioggia di calci e sputi.

Ne girai uno a caso e gli diedi un dritto in faccia, seguito da un montante, urlavo con tutta la forza che avevo in corpo ma uno mi afferrò scaraventandomi per terra. Picchiai la testa contro il muro di una casa visto che il viottolo era corto e senza poter fare niente, quello che presi a pugni mi diede un calcio in faccia facendomi picchiare ancora la testa.

Non feci tempo a provare dolore i colpi in testa mi stordirono e tutto era confuso, volevo solo scappare via ma iniziarono a prendermi a calci, praticamente si divisero tra me e Riccardo e senza pietà mi pestarono coi loro piedi che mi colpirono ovunque, probabilmente urlavo o piangevo, mi ricordo solo che sollevai il braccio per chiedere pietà ma un piede sbatté violentemente sul palmo della mano e sentii il braccio piegarsi nel modo sbagliato. A quel punto mi ricordo che urlai, anche tanto strozzata dalle lacrime.

Cercai di aggomitolarmi mentre sentivo Riccardo chiedere tra le botte di lasciarmi stare che io non centravo niente. Finì quando uno di loro mi sputò in testa e mi lasciarono lì immobile.

Non ricordo cosa stavo pensando ma ricordo solo il sapore del sangue in bocca e il male su tutto il corpo e soprattutto sul braccio.

Per terra iniziai a lamentarmi, quello non me lo scorderò mai perché l'adrenalina nel momento del panico svanì rapidamente lasciando spazio al dolore persistente in tutto il corpo.

Piangevo dolorante muovendo le gambe, strofinandole per terra per sfogare il dolore, fui picchiata per aver difeso un ragazzo che senza dirmi niente si era cacciato in qualche guaio. Quei pensieri arrivarono dopo quando vedendoci in terra qualcuno chiamò l'ambulanza e ovviamente con loro arrivarono anche i carabinieri.

I soccorritori mi riempirono di domande a cui io rispondevo a fatica, ero cosciente ma il dolore ancora mi faceva piangere mentre il mio braccio era diventato gonfio.

Quando mi chiesero il numero di mia madre dissi ripetutamente che non volevo darglielo ma mi fecero capire che essendo minorenne dovevo per forza avvisare un genitore che mi avrebbe dovuto raggiungere in ospedale.

Sapevo già che dopo lo spavento generale mia madre mi avrebbe rimproverato, lei era fatta così e non avevo voglia di sentirla parlare e parlare.

Prima di essere portati via con l'ambulanza, mentre a me fecero indossare un collare azzurro i carabinieri domandarono a Riccardo cosa fosse successo e se conoscevamo i nostri assalitori.

Lui li conosceva, da come avevano parlato prima del pestaggio mi avevano dato l'impressione che si conoscevano e pure ai carabinieri disse di non aveva idea di chi fossero e che volevano derubarci.

Così il carabiniere, nella sua divisa nera e rossa si girò verso di me, il viso stropicciato dal sole che gli andava in fronte mentre teneva le mani sui fianchi col cappello tenuto su quella destra.

Nella confusione del dolore notai il suo viso e mi domandai perché non mettesse il cappello se gli dava fastidio il sole.

Chiese conferma anche a me, io lo guardai e guardai Riccardo.

Il suo sguardo era dispiaciuto ma praticamente mi stava pregando di reggergli il gioco, lo guardai negli occhi. Il suo labbro era spaccato e sanguinante, ne perdeva anche dalla fronte e un suo occhio era nero. Anche io non ero da meno ma in quel momento ancora non potevo vedermi.

Confermai la versione di Riccardo dicendo che non li conoscevo e che volevano i porta fogli ricavando quindi un rimprovero da parte del carabiniere mentre attorno si era creata una folla che il suo collega cercava di far sciogliere.

"signorina, non vale la pena farsi picchiare per pochi euro, se accade ancora non protestate e chiamate poi noi" disse.

Quella sua frase mi diede parecchio fastidio, ero dolorante e ammaccata ma lui mi rimproverò ma per tutto il viaggio in ambulanza quello che più mi stava infastidendo era Riccardo, la cosa più "divertente" era che quei tipi stavano cercando lui e alla fine quella messa peggio ero io.

Ci misero entrambi nelle stessa ambulanza, io stesa col collarino e lui seduto al mio fianco insieme ai soccorritori.

C'era silenzio a parte loro che comunicavano cose alla ricetrasmittente, non fiatai proprio perché non ne avevo voglia e restai ferma a fissare il tettuccio di quella vettura mentre sentivo il letto tremare. Le labbra bruciavano da impazzire e la testa stava per scoppiare ma ero li zitta a rimuginare su Riccardo e su il perché di tutto quello, lo guardai un attimo solo muovendo gli occhi e si accorse di questa cosa perché provò a prendere fiato, voleva parlarmi ma non disse niente nel momento in cui distolsi lo sguardo.

In ospedale un dottore vedendo il mio braccio mi avvertì di prendere un respiro ma senza lasciarmene il tempo mosse violentemente il gomito, questo scrocchiò violentemente e il dolore fu così intenso da farmi urlare acutamente.

Imprecai stringendo i denti mentre il male si propagava lungo tutto il mio corpo, non dimenticherò mai le pulsazioni di dolore che sentivo, mi sembrava di non poter muovere le dita di quella mano o comunque facevo davvero fatica, effettivamente era come intorpidita ma restavo ferma anche perché ogni movimento di troppo era solo altro dolore che provavo.

Un po più tardi arrivò mia madre, mio padre invece si trovava in Puglia in quel momento, stava guidando un treno.

Mia madre invece, dovette solo scendere di qualche piano per raggiungere il pronto soccorso e trovarmi stesa su quel lettino maledettamente scomodo, quando mi vide sbiancò e corse verso di me Assunsi un'aria dispiaciuta e rattristata cercando di ignorare il dolore visto che fino a quel punto mi avevano semplicemente fatto una lastra al braccio.

"Santo cielo, tesoro ma che è successo? Chi ti ha fatto questo?" mi domandò terrorizzata e subito sentii i suoi polpastrelli carezzarmi il viso, socchiusi gli occhi poggiando dolcemente la guancia sul suo palmo mentre lei si chinò a darmi un bacio.

"e non mi hai visto senza i cerotti" esalai sarcastica.

"ma guarda come ti hanno conciata, bastardi..." ringhiò poi.

Mi sembrò più che giusto darle tutte le spiegazioni del caso quindi cercando di non sembrare debole o dolorante le risposi.

"ero a prendere un gelato con Riccardo ok? Stavamo andando via da piazza d'uomo quando questi tizi ci hanno fermato per rubarci i porta fogli, Riccardo ha provato a fronteggiarli, sai che fa MMA, erano troppi così lo anno sovrastato e così mi sono messa in mezzo per difenderlo e questo, beh è il risultato" usai una punta di ironia alla fine della frase, giocando un po con quello che mi era appena accaduto ma mia madre o non la colse o la ignorò totalmente.

"ma perché ti sei messa in mezzo?" la sua domanda mi suonò così assurda che non ci credetti, mossi il braccio buono verso l'alto e dopo un rapido giro della stanza con gli occhi la riguardai.

"cosa dovevo fare? Stare buona mentre lo ammazzavano di botte?".

A quel punto lei si sforzò ma sorrise, come volesse mostrarmi un certo senso d'orgoglio, guardai le sue rughe d'espressione prender forma ai lati della sua bocca carnosa che poi si aprì.

"sei propr..."

"Elisa Mazzoli?" domandò un medico entrando nello stanzino accorgendosi poi che non ero sola.

"e lei cosa ci fa qui?" fu un tono abbastanza seccato quello che usò nei confronti di mia madre che si mise in piedi e gesticolò nel spiegare che ero sua figlia. Chiarito il fraintendimento tirò fuori le mie radiografie spiegandomi che il gomito aveva una bella frattura, usò lui la parola "bella".

Avevo addosso quel gesso da solo un ora e già lo odiavo, oltretutto il male non smetteva infatti quasi facendo gli occhi dolci mi feci dare un antidolorifico.

Tornammo a casa e mi scusai diverse volte con mia madre per averle fatto perdere la giornata lavorativa ma lei mi rispondeva sempre che ero pazza a pensare simili cose, chiesi a lei anche cosa fare con Riccardo, che non avevo più rivisto.

"come cosa fare? Che colpa ne ha lui se hanno tentato di rapinarvi?" domandò lei stranita ma effettivamente non l'avevo raccontata giusta. A mia madre dissi un semplice "niente" solo per poi immergermi nei miei pensieri mentre fissavo la strada scorrere oltre il finestrino dell'auto.

Pensai alla droga, magari aveva avuto problemi riguardo la droga e se così sarebbe stato allora lo avrei sicuramente lasciato.

Niente allenamenti per tre mesi e un mese delle vacanze passato col gesso, si prospettava bella la situazione... oltre che la frattura.

Il deserto siriano sapeva essere davvero stronzo e in una notte sembrava quasi volesse darmi prova di quanto poteva esserlo. Il vento infatti si era alzato e non poco, portando con se non solo un freddo cane ma anche banchi di polvere che riducevano la vista quasi a zero.

Dentro la suite ghillie stavo morendo e avrei voluto alzarmi giusto per sgranchirmi un po le gambe, la pressione sul petto poi non era indifferente ma a tutto quello ero abituata e addestrata anche se alle volte fare il cecchino era una vera palla e non come lo svendono in televisione.

"Perchè ti sei fermata?" Domandò Cheese.

"e ancora una volta il buon costume se ne va a farsi benedire, vero soldato Cheese?" replicai mentre sollevai la testa oltre il mirino del mio fucile, strinsi gli occhi ma tutta quella sabbia copriva davvero tutto.

"Cristo spero passi in fretta..." sussurrai tornando poi con la testa bassa,

"mi dispiace caporale, ogni volta sembra che io non le porti rispetto ma..."

"Cheese, ti prego, non essere ripetitivo ho capito, ti piglio solo per il culo" lo bloccai quindi. "cura tu un attimo, prendo da bere". Lo avvisai e stando stesa mi piegai col corpo sollevando una gamba, questo per poter portare indietro una mano e tirare in avanti il mio zaino tattico da cui afferrai una grossa borraccia.

Bevvi un lungo sorso, ne avevamo comunque quattro in totale, due a testa che comunque condividevamo, infatti gliela passai. Lui bevette e dopo mi guardò con faccia maliziosa, capii al volo cosa stava per dire quindi lo guardai con un espressione di circospezione ma non mi lasciò tempo di parlare che disse la cazzata.

"adesso è come se ci fossimo baciati!" esalò e socchiusi gli occhi mettendo il pollice e l'indice della destra ai lati delle sopracciglia. Sbuffai incredula e sorpresa mentre usai la stessa mano per riprendere la borraccia che poi riposi dove l'avevo presa.

"complimenti soldato Cheese, ha compiuto oggi i suoi cinque anni?" domandai guardandolo per pochi secondi. La notai nel suo sguardo, la voglia che aveva di baciarmi ma ovviamente quello non era ne il luogo e soprattutto il momento per certe cose, nonostante gli piacesse fare lo stupido lo sapeva benissimo anche lui.

"comunque, stupidate a parte, più tardi quando inizierà a tramontare il sole e le temperature saliranno, questo banco di sabbia svanirà, o almeno spero cazzo, altrimenti che facciamo? Non c'erano molti posti per riposizionarsi, non buoni come questo".

Aveva ragione e di certo non potevamo affidarsi ai se e i ma, una missione del genere andava portata a fine con estrema precisione con tutto in certo al duecento per cento.

" non che poi serva effettivamente spostarci, i mirini termici a certe distanze non sono nemmeno tanto affidabili".

Odiavo doverlo ammettere ma la nostra partecipazione era appesa ad un filo, sapevo che quella coltre di sabbia era dovuta al vento della notte ma mi dava comunque fastidio l'idea che avrei dovuto aspettare e sperare per ore.

"cosa fai, vuoi continuare?" mi domandò dopo qualche attimo di silenzio, io sbuffai una risata incredula tornando quindi a guardarlo.

"sei serio?"

"certo! Cosa è successo tra te e Riccardo? Matteo invece che fine ha fatto?" quando mi fece quella domanda, sentii quasi come se la mia vita fosse per lui una specie di telefilm su netflix o robe simili.

" Riccardo spacciava davvero droga, quello che gliela forniva lo ha, come se dice in gergo, paccato e quindi senza volerlo lui a "paccato" quelli che poi ci hanno pestati, quando gliel'ho fatto confessare l'ho colpito con un pugno e l'ho lasciato mentre Matteo mi è sempre rimasto alla larga"

Lui mi guardò stranito e poi ridacchiò.

"c'è qualcuno a cui tu non hai dato un pugno?" mi domandò così lo fulminai con lo sguardo ma la mia risposta fu forse più fulminea.

"si, te!" risposi dandogli poi un cazzotto a martello sulla spalla.

Fece un urlo da checca muovendo poi la spalla colpita.

"ahio! Questo è abuso di potere e comunque cosa vuol dire paccato?".

Mentre lo sentii lamentarsi provai a guardare ancora il mirino, come se concentrandomi potessi effettivamente vedere qualcosa.

"dici che dovremmo avvertire BigHouse?" domandai "e comunque quando io ti vendo un fucile promettendoti determinate prestazioni e poi fa schifo, beh sei stato paccato, ok?" spiegai quasi infastidita.

"quindi ora mi stai paccato con la tua storia?" aggiunse ridacchiando.

"la smettiamo di dire quella parola? Non abbiamo quindi anni che cazzo!" replicai seria in volto.

Ed il silenzio lasciò quindi spazio al forte vento del deserto che sbraitava, ci sferzava smuovendo la tenda cui eravamo riparati, il suo tessuto sbatteva producendo un continuo rumore che invase le mie orecchie, tanto insistente che riuscì a deconcentrarmi.

"caporale, avvisiamo BigHouse" suggerì Cheese e annuì premendo il tastino sull'auricolare.

"Big house, qui Delta, passo" dissi attendendo risposta.

"avanti Delta, ditemi pure, passo" risposero quasi subito quindi mi affrettai nell'esporre a loro la situazione.

"Delta ha visibilità zero sull'obbiettivo, una tempesta di sabbia sta compromettendo l'operazione per ora, passo" spiegai anche parecchio frettolosa, la risposta tardò solo di qualche secondo.

"Non preoccupatevi Delta, i dati meteo prevedono bel tempo in mattinata, dovrete solo essere pazienti, se all'ora prestabilita avrete ancora visibilità zero, Delta si congiungerà a Charlie e Bravo, siete più utili lì dove siete ma se non avete visibilità dovrete partecipare al raid in prima linea, passo e chiudo". BigHouse fu molto esplicativa e per quanto non mi sarebbe dispiaciuto stare giù coi ragazzi, mi sentivo più a mio agio coprendoli dalla distanza.

In quel momento mi domandai come sarebbe andata a finire la missione, era importantissimo il complimento della stessa, sarebbero cambiate molte cose qualsiasi esito avrebbe avuto e annegando in quei pensieri sentii una forza schiacciarmi le spalle, una pesantezza data dalla gravità della situazione e dalla responsabilità che gravava su di me come chiunque altro.

Cheese sembrava sereno, proprio come sempre. Poche volte lo avevo visto preoccuparsi e ancor meno volte lo vidi serio al di fuori del suo lavoro.

"più mi parli di te, più voglio sapere cose a tuo riguardo" disse lui, incorreggibile come sempre.

Capii che quella notte l'avrei passata a raccontare cose su di me a lui, chiedendomi però come facesse a non annoiarsi, del resto erano solo i racconti di una ragazzina che faceva cose da ragazzina ma lui continuava ad insistere, così ripresi a raccontare, comunque non potevamo davvero fare niente lì distesi.

What's next?

Want to support CHYOA?
Disable your Ad Blocker! Thanks :)