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Chapter 6 by Esseremicidiale02 Esseremicidiale02

Capitolo 6

Gaza

Il cielo sopra Gaza era un cupo mosaico di fumo e cenere, striato dal rosso ardente delle esplosioni. I raid aerei israeliani si susseguivano senza tregua, trasformando i quartieri densamente popolati in cumuli di macerie. Le strade erano deserte, tranne per figure fugaci che cercavano rifugio nei sottoscala o nei resti dei palazzi sventrati. La città era sotto assedio, e nessun angolo era risparmiato dalla furia del conflitto. In uno di questi quartieri devastati, nascosta sotto un tetto sfondato che un tempo era stato un mercato, c'era Amina Al-Sahra. A ventun anni, la sua giovane età tradiva la saggezza che portava nei suoi occhi. Di etnia beduina, apparteneva a un popolo che per secoli aveva sofferto discriminazioni. Agli occhi dei palestinesi e degli israeliani, i beduini erano cittadini di serie B, un residuo di nomadi buoni solo per le zone più dure del deserto.

Amina era diversa dalle altre ragazze della sua età: indossava un semplice abito polveroso lungo, di colore arancione e marrone, per ricordare le sue origini, con una kefiah nera legata intorno alla testa per nascondere i suoi capelli lisci e scuri. Sotto l'abito, nascosti con cura, Amina portava alcuni gioielli ereditati da sua madre. Catenine d'oro, un paio di orecchini tradizionali con pietre rosse e un piccolo anello d’argento con una incisione in arabo antico. Erano tutto ciò che le rimaneva della sua famiglia e un simbolo del suo popolo. Sapeva che, se qualcuno li avesse notati, avrebbe rischiato che glieli strappassero via. Ai piedi, aveva sandali consumati che mettevano in mostra la pelle ambrata e perfetta dei suoi piedi. Erano ben curati nonostante la polvere di Gaza, con unghie corte e limate. I dettagli eleganti di quei piedi contraddicevano l’asprezza della sua vita quotidiana, un ricordo inconsapevole della sua bellezza.

Con un coltello nascosto nella cintura e una piccola bisaccia di tela sulla spalla, contenente le ultime razioni rimaste — un pugno di datteri, una bottiglia d’acqua quasi vuota — Amina si muoveva attraverso le macerie come un'ombra. Il suo portamento era quello di una persona allenata a passare inosservata, ma sotto la kefiah c’era un viso deciso e bellissimo, solcato dalla polvere e dall’espressione intransigente di chi ha troppo da perdere. Amina Al-Sahra non si nascondeva solo dai bombardamenti. Si nascondeva anche da Hamas. Un tempo aveva provato a sfuggire alle regole imposte dal gruppo armato. Aveva sfidato le restrizioni su ciò che una donna poteva o non poteva fare. Aveva imparato da piccola l’arte di sopravvivere da suo padre, prima che lo uccidessero durante un confronto armato anni prima. Ma la vera rottura con Hamas era avvenuta quando si era rifiutata di sposare un uomo del movimento. Era un matrimonio imposto, un atto che avrebbe legato la sua vita a un uomo che non amava e a un'ideologia che disprezzava. Quando aveva rifiutato, lo scontro non si era fermato a parole. Amina era stata costretta a fuggire, abbandonando il suo villaggio beduino. Da allora, era una ricercata: per gli israeliani, una civile intrappolata nel caos; per Hamas, una traditrice da punire. Mustafa Al-Khatib, uno dei capi locali di Hamas, era il suo nemico giurato. Un uomo crudele e manipolatore, era stato lui a pretendere che Amina diventasse sua moglie per poi trasformarla in uno strumento per la propaganda del gruppo. Questa resistenza instancabile, insieme alla sua capacità di scomparire nel deserto e riapparire nelle rovine, le aveva valso un soprannome che correva sui labbri dei suoi ammiratori segreti: “La Nuova Volpe del Deserto”. Era una chiara allusione a Rommel, ma Amina non combatteva per il potere o per gloria personale. Combatteva per sé stessa, per la memoria della sua famiglia e per il diritto a una vita libera.

Nel presente, la sua vita era una sequenza di nascondigli precari, scambi rapidi di risorse nei mercati clandestini e un rapporto instabile con la popolazione locale. Alcuni la ammiravano: una giovane donna che sfidava Hamas, vivendo libera malgrado tutto. Altri, spaventati dalle ripercussioni del sostenerla, chiudevano le porte al suo passaggio.

Amina camminava con cautela attraverso il dedalo di vicoli distrutti, il suo coltello era saldo alla cintura, ma il suo vero scudo era l'istinto. Raggiunse un edificio sventrato che un tempo ospitava una scuola. Lì si fermò, appoggiandosi a una finestra semidistrutta per controllare l’orizzonte. La vista fu spietata: tre uomini di Hamas si muovevano con passo sicuro, leggermente armati. I loro volti erano coperti da kefiah nere. La postura di uno dei tre tradì la loro missione. Mustafa Al-Khatib era lì, in carne e ossa, con il suo inconfondibile portamento da predatore. Amina strinse i denti. Il nemico che l'aveva resa una fuggitiva le era ora a pochi passi, accompagnato dai suoi scagnozzi.

I tre si fermarono davanti a una delle abitazioni vicine. Mustafa ordinò con un gesto alla porta di essere aperta, e Amina sentì il pianto soffocato di una giovane donna al di là del muro. La rabbia le montò nel petto. Non poteva tollerare che qualcun altro fosse vittima della brutalità di Hamas, ma intervenire significava esporsi. La mente di Amina lavorò in fretta. Contro tre uomini non avrebbe avuto scampo. Si guardò intorno, scrutando ciò che il caos poteva offrirle. Trovò un pezzo di metallo arrugginito, la raccolse e salì al piano superiore dell’edificio. Mustafa e i suoi uomini stavano ora dentro la casa davanti alla donna, aveva un aspetto che strideva dolorosamente con la brutalità del luogo. Di circa ventitré anni, i suoi lineamenti ricordavano la bellezza delicata e antica dei dipinti ottomani: occhi grandi e scuri, pieni di terrore, incorniciati da ciglia folte; un volto ovale con la pelle color miele, che era coperta di graffi e lividi. I suoi capelli, nonostante fossero sciolti in ciocche spettinate, brillavano come seta nera alla luce tremolante che filtrava dalle finestre rotte. Indossava un lungo abito verde pallido, strappato in più punti, e ai polsi sottili brillava un bracciale d’argento che cercava nervosamente di coprire. La paura e il coraggio si alternavano nel suo sguardo, come se lottasse contro l’idea della resa.

Amina colse l’opportunità. Lanciò il pezzo di metallo con tutta la forza di cui era capace contro uno dei muri vicini. Il rumore fece sobbalzare i due scagnozzi mentre con calma Mustafa alzò la mano, fermandoli, indicando con un cenno di investigare. Quando uno dei due fu sotto il rifugio improvvisato di Amina, lei si lanciò in picchiata. Il suo culo sbatté fortissimo sulla faccia dell’uomo facendolo cadere a terra e quasi perdere i sensi. Con il coltello fu veloce, tagliò prima le palle con un colpo secco, l’uomo non poté urlare avendo il bacino di Amina a coprirli la bocca, mentre subito dopo gli tagliò la gola.

Il rumore aveva attirato il secondo uomo, che si mosse verso Amina con cautela, stringendo in mano una pistola semi-nascosta. Amina osservava dall’alto, con un sorriso sottile che non aveva nulla di benevolo. Quando lui arrivò nel punto esatto sotto il balcone distrutto, lei scivolò come un predatore dal suo rifugio, atterrando in una posizione di combattimento con i piedi perfettamente a terra. Il secondo uomo era ancora scioccato dal colpo di scena e impiegò un attimo a riprendersi. Amina ne approfittò per scattare in avanti, afferrare la sua mano che impugnava la pistola e torcerla violentemente all'indietro, facendogli lasciare cadere l'arma. Con un movimento rapido e preciso, colpì il nuovo nemico con un calcio mirato nei coglioni, facendolo piegare in due per il dolore. L'uomo si accasciò a terra, gemendo e stringendosi la zona colpita. Amina non perse tempo, si avvicinò all'uomo e gli sferrò un pestone nuovamente nei testicoli con i propri sandali. A questo punto all’uomo cadevano i pantaloni e le mutande. Amina sollevò il piede destro, con il sandalo consumato che brillava debolmente alla luce tremolante, e lo abbassò con precisione mortale sull’inguine esposto del secondo uomo. Il rumore del colpo fu un impatto secco e soffocato, seguito da un gemito soffocato che sembrava provenire dalle profondità dell'anima dell'uomo. La sua testa si abbassò, come se stesse cercando di guardare il punto in cui era stato colpito, mentre le sue mani si muovevano goffamente per coprire la zona colpita.

I testicoli dell'uomo, ormai esposti e indifesi, sembravano aver instaurato un rapporto di subordinazione con i piedi di Amina. Ogni volta che lei si muoveva, i testicoli parevano tremare di paura, come se sapessero di essere alla mercé della sua volontà. I piedi di Amina, con i sandali consumati, sembravano aver assunto un ruolo di dominio, come se fossero gli unici a poter decidere il destino dei poveri testicoli. L'uomo, ancora inginocchiato a terra, alzò lo sguardo verso Amina con occhi pieni di lacrime e disperazione. La sua voce tremava mentre chiedeva pietà, la sua gola serrata dal dolore e dalla paura. "Per favore... Volpe, abbi pietà di me... Non distruggermi ancora i testicoli". La giovane ragazza lo guardò con un'espressione fredda e distante, senza alcuna traccia di compassione. "No", disse con voce ferma e decisa. "Non posso avere pietà dei tuoi testicoli". Amina si chinò leggermente in avanti, i suoi occhi marrone scuro fissi su quelli dell'uomo, mentre la sua voce assumeva un tono di fredda determinazione. "I tuoi testicoli", disse, "saranno presto niente più che due sacche vuote e inservibili, simili a due foglie secche e appassite". L’uomo era a terra incapace di muoversi, Amina infilò i suoi testicoli esattamente tra il suo piede e il sandalo. L'uomo emise un gemito soffocato, come se stesse cercando di urlare, ma la sua voce era bloccata in gola. Amina mantenne la pressione ancora per qualche secondo. I testicoli dell'uomo esplosero sotto il piede di Amina come due sacche di liquido scuro e viscoso, emettendo un suono simile a un piccolo schiocco umido. La pelle tesa e fragile si lacerò facilmente, rilasciando un getto di fluido caldo e appiccicoso che si sparse sul sandalo di Amina. La sensazione di calore e umidità si diffuse rapidamente attraverso il sandalo, raggiungendo la pelle di Amina e facendola sentire come se stesse toccando qualcosa di vivo e palpitante. “È qui che ti fermi.” Il corpo crollò, incosciente ma ancora vivo.

A quel punto, Amina si fece avanti, attraversando la porta aperta della casa, pronta ad affrontare Mustafa. “Finalmente ti fai vedere, quando ho sentito le urla del mio compagno ho immediatamente capito che si trattava proprio di te, quindi ho deciso si aspettare qui” disse l'uomo, con una risata tagliente. “Una volpe che entra nella tana del lupo. Non ti aspettavi questo, vero?” Amina restò immobile, con lo sguardo gelido. “Ho cacciato molti lupi in passato,” rispose lei, con tono basso e deciso.

Mustafa non perse tempo e si lanciò verso di lei in uno scontro violento, lui aveva la forza bruta dalla sua parte, ma Amina era agile e determinata. I due si scontrarono come onde contro una scogliera, con pugni e calci che riempivano la stanza di rumori sordi. Per un attimo sembrò che Mustafa avesse il sopravvento, immobilizzandola con il peso del suo corpo. Proprio quando Amina stava per essere sopraffatta, la giovane donna che era rimasta nascosta fino a quel momento si alzò in piedi e diede un calcio nelle palle talmente forte a Mustafa che rilasciò la presa su Amina dolorante. Il piede aveva preso pienamente entrambi i testicoli nei pantaloni aderenti facendolo urlare di dolore. La Volpe rotolò via e si rialzò rapidamente, senza perdere un attimo, fece un sorriso con le sue labbra carnose e tirò un grosso calcio al testicolo destro del nemico, mentre l’aiutante colpiva di nuovo a piede nudo, questa volta concentrando forza sul sinistro. Amina sentì un bel feeling con la nuova amica, i loro piedi erano a contatto e stavano spiaccicando coordinati il punto più debole e sensibile del nemico. Mustafa completamente rosso in faccia estrasse la pistola di riserva, puntandola verso la giovane donna. Lo sparo fu assordante e la donna si accasciò al suolo, morta.

“Vuoi continuare, Volpe?” ghignò Mustafa, respirando a fatica e girandosi verso Amina. La sua risposta fu un calcio improvviso e furioso che colpì Mustafa al volto, facendolo vacillare all’indietro. Senza attendere le conseguenze, si girò e fuggì fuori dalla casa, dileguandosi tra le ombre come solo lei sapeva fare. Mentre correva, il dolore e la rabbia le bruciavano nel petto. Mustafa era sopravvissuto, ma il giorno in cui sarebbe caduto per mano sua era solo una questione di tempo. E lei non avrebbe dimenticato il sacrificio di quella donna. Il suo nemico si rialzò lentamente, sputando sangue sul volto e tenendosi il dolorante inguine. Guardò verso il buio in cui Amina era scomparsa e mormorò, quasi con piacere: “Scappa pure, Volpe. Alla fine, non c’è tana abbastanza profonda per nasconderti da me.”

Capitolo 7

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