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Chapter 9
by Esseremicidiale02
Capitolo 9
La Presa del Nemico
Nella base sotterranea, una vecchia cantina ormai trasformata in quartier generale, Leila, Nour e Fatima erano sedute su tappeti consumati attorno a un tavolo improvvisato fatto di casse di munizioni. L’atmosfera era finalmente positiva, i loro volti illuminati solo dalla luce tremolante di una vecchia lampada a olio. Finalmente Leila poteva prenderei del tempo per guardare attentamente le sue amiche, per una volta potevano gustarsi un po’ di felicità insieme. Nour, aveva una pelle ambrata che sembrava risplendere di un calore interno. I suoi capelli, sebbene nascosti sotto il suo foulard colorato a fiori, sfuggivano con ciocche ricce e ribelli che incorniciavano il suo volto tondo e ora sorridente. Indossava sandali semplici, ma robusti, sotto una tunica dai toni rosati. Fatima, più taciturna e riflessiva, era l’opposto di Nour: i suoi occhi castano scuro fissavano attenti ogni mossa delle sue amiche. La sua pelle era più chiara, leggermente dorata dal sole, nonostante l’esaltazione del momento il suo volto era stanco, ragazze così giovani non si meritavano di combattere in questo modo contro uomini così malvagi. I suoi abiti scuri e il hijab nero sottolineavano il suo pragmatismo. Ai piedi portava scarpe da ginnastica in tessuto logoro, macchiate di sabbia e fango. Leila si era cambiata i sandali con i quali la scorsa giornata aveva annientato Jamal, calzava un paio di scarpe da ginnastica vecchie, con il tessuto scamosciato marrone scolorito e segni di abrasione lungo la punta e i lati. Le suole, un tempo bianche, erano ora grigie e consumate, con crepe sottili che testimoniavano anni di utilizzo. Sotto le scarpe, il leggero profilo delle sue caviglie e la pelle olivastra dei piedi risaltavano per contrasto.
“Il piano ha funzionato esattamente come previsto. Jamal credeva di avere il controllo della situazione, ma è caduto nella trappola, é stata una buona idea quella di mandare dei finti segnali alla radio di Sami. Adesso dobbiamo sfruttarlo per ottenere ciò che serve,” disse Leila con calma. Il suo sguardo si spostò su Nour, che la osservava con ammirazione.
Leila continuò: “Non possiamo perdere tempo. Sami ci sta cercando, penserà che Jamal a quest’ora mi avrà catturato. Ma più aspetta, meno fiducia avrà nella sua guardia. Questo è il momento perfetto per usare Jamal contro di lui, spingerlo a parlare e a rilevarci non solo dei piani del suo padrone, ma anche un qualsiasi motivo per il quale possiamo denunciare il Governatore alle autorità Palestinesi, ed eventualmente Israeliane.”
“E se non parla?” chiese Fatima, lanciando un’occhiata furtiva al corridoio che portava alla stanza dove Jamal era rinchiuso. Leila sorrise freddamente. “Parlerà. Ci assicureremo di dargli tutti i motivi per farlo.”
Jamal sedeva legato con delle catene, attaccato al muro in modo da tenere braccia e gambe larghe e intrappolate, tumefatto dai colpi ricevuti durante lo scontro con Leila, mostrava l’orgoglio ferito di un uomo ridotto alla schiavitù. Leila entrò nella stanza, seguita da Nour e Fatima. “Guardati,” disse Leila con tono glaciale. “Un tempo eri l’uomo più fidato di Sami, e ora sei solo un relitto in mano nostra. Ma potresti ancora avere uno scopo, se scegli bene le tue parole.” Jamal non rispose, il suo sguardo pieno di odio fisso su Leila. Nour si avvicinò, lasciando cadere il proprio piede proprio accanto al punto più fragile dell’uomo, l’inguine.“Non sei in posizione di fare il duro,” intervenne Fatima. “Leila ti ha messo al tappeto, soltanto con i suoi sandali mirati bene. Immagina cosa possiamo farti ora che sei legato, completamente alla nostta mercé.” Leila si avvicinò, piegandosi per fissarlo negli occhi. “Parla, Jamal. Dicci cosa sta tramando Sami. O lasceremo che la tua umiliazione continui, e questa volta il tuo corpo verrà utilizzato nei modi peggiori, ai quali nemmeno il tuo vecchio padrone arriverebbe.”
L’uomo, umiliato ma ancora non arresto, iniziò a ridere “Se adesso io parlo sono morto, fatemi quello che volete brutte stronze, da me non otterrete nulla.” Leila sorrise “bene, in parte speravo in questa risposta.” Con le sue scarpe in sfacelo, la giovane palestinese si avvicinò al suo prigioniero, colpendo esattamente con la punta sporca il centro delle sue palle, già in passato ben martoriate. L’uomo si mise a sgolare dal dolore, ma questo non fu utile ad evitare la ginocchiata secca nei testicoli, prendendo principalmente il destro, il quale per un momento sembrò essersi bloccato nella parte superiore della palle, ma che ritornò giù con una manata, simile ad un colpo di karate, da parte di Leila. Nonostante questo l’uomo non aveva intenzione di cedere, infatti dopo qualche pugno e gomitata lo slegarono. “Forse é l’ora di far provare qualcosa di diverso al nostro recluso” disse Leila con un riso stampato sul volto. Fatima portò un basso sgabello, con la forza prese le noci di Jamal in mano e ce le poggiò schiacciandole con il palmo, senza che l’uomo torturato se ne potesse accorgere Leila mise la sua scarpa con la massima potenza sopra i testicoli, schiacciandoli contro lo sgabello. Con calma si slegò la scarpa e con tono autoritario disse “legale!” Jamal era tartassato dal dolore ma con uno scatto fulmineo prese i lacci di Leila e iniziò a fare il noto alla stessa velocità di un campione che percorre i 100 metri. “Non sei abituato a vedere le donne dal bassi verso l’alto giusto? Allaccia questi lacci come hai allacciato le catene dell'oppressione. E ricorda, ogni nodo che fai è il riflesso di ciò che hai costruito con il patriarcato.” Subito dopo Leila alzò il piede sbattendoglielo in faccia violentemente e facendo cascare Jamal in terra, tutte le ragazze presenti si lanciarono sul suo corpo utilizzandolo come tappeto, i suoi coglioni stavano prendendo adesso la forma della suola di Fatima.
Leila stufa prese delle forbici arrugginite, ormai annoiata dalla situazione, e le abbassò lentamente intorno ai testicoli di Jamal, graffiandolo leggermente. Lui si agitò freneticamente, mentre era tenuto fermo da Nour e Fatima, inoltre completamente senza forze. “Davvero ironico, non trovi?” sussurrò con una freddezza feroce. “Voi uomini siete disposti a sacrificare tutto pur di mantenere il controllo. Le vite degli innocenti, le donne che sfruttate, intere comunità… ma bastano delle forbici e una minaccia a un centimetro dai vostri preziosi ‘gioielli’, e improvvisamente siete disposti a raccontare tutto.”
“Va bene! Va bene! Ti dico tutto, fermati!” Jamal gridò, le parole traballanti, rotte dal terrore. “Sami... Sami sta trafficando droga. Usa il Captagon dalla Siria e l'eroina dal sud... sta riempiendo tutta la Palestina e Israele, per mantenere il suo potere! Vuole controllare i giovani! Diventerà intoccabile, capisci? Nessuno oserà opporsi a lui!” Leila non si mosse, mantenendo la lama immobile, solo per lasciare che l’umiliazione affondasse ancora di più nella mente di Jamal. Poi, con un piccolo sorriso trionfante, si raddrizzò e lasciò che le forbici ricadessero sul tavolo con un tonfo. Si voltò verso Nour e Fatima, che la osservavano con stupore. “Finalmente sappiamo come abbatterlo.”
Leila si avvicinò ancora a Jamal, chinandosi al suo livello per fissarlo negli occhi pieni di disagio. “Grazie, Jamal, ora che ci hai detto cosa fare, non vali più niente. Fino a che non cattureremo uomini peggiori di te sarai utilizzato come latrina speciale per noi donne della comunità, saranno davvero dei buoni pasti, spera che mi rimangano pochi falafel sullo stomaco.”
Nel frattempo, Moshe Ben-Ami attraversava lentamente i dintorni insieme a una squadra ridotta di soldati. Non era alla ricerca di uno scontro, ma semplicemente monitorava l’area per assicurarsi che la situazione fosse calma, senza la possibilità di nuove cellule di Hamas o altri gruppi radicali. Moshe, a differenza di molti altri ufficiali, odiava le dimostrazioni di forza gratuite. Credeva che la coesistenza fosse ancora possibile, anche se gli eventi sembravano puntare nella direzione opposta.
“Colonnello, abbiamo visto movimenti sospetti verso nord,” disse uno dei suoi soldati. Moshe guardò lontano, verso il confine dove si diceva che operassero alcune cellule ribelli. “Prepariamo un pattugliamento mirato. Voglio capire cosa c’è in quella direzione prima di muovermi ulteriormente. Ma ricordatevi: non voglio vittime inutili.” I suoi soldati annuirono, e la squadra si mise in moto. L’ironia del momento era che Moshe si stava muovendo inavvertitamente verso la base di Leila, spinto dal caso più che dalla strategia.
La base di Leila era immersa nel silenzio, disturbato solo dal lontano fruscio del vento che attraversava le crepe nei muri. Un ragazzino, uno dei sentinelli fuori dalla base, entrò correndo per avvisare le ragazze. “Israele! C’è un’unità in avvicinamento, sono una dozzina o più, e sono armati fino ai denti!” Leila si immobilizzò per un istante, poi sollevò lo sguardo con decisione. “Posizioni difensive! Tutti ai propri posti, potrebbero essere venuti in accordo con Samu, in ogni caso non possiamo permettere che trovino Jamal!” gridò, facendosi sentire in ogni angolo della base. La tensione invase l’aria mentre gli uomini e le donne presenti si radunavano attorno alle armi disponibili: vecchi fucili, un paio di mitragliatrici recuperate durante precedenti attacchi e un bazooka che poteva ancora funzionare.
Il colonnello Israeliano si trovava in una radura a meno di cento metri dalla base ribelle. L’unità israeliana aveva avvistato la cantina nascosta. “Signore,” comunicò un sottoposto, “l’edificio è rinforzato, ma non ben protetto. Potrebbe appartenere a cellule di Hamas.” Moshe soppesò le informazioni, lo sguardo calcolatore. Non voleva ingaggiare uno scontro senza conferme. Non voleva che vite venissero sprecate. Ma ordini erano ordini. “Avanziamo lentamente, ma con cautela,” disse. Poi alzò un megafono e gridò in arabo: “Sappiamo che questo é un gruppo terrorista che mette a repentaglio la sicurezza di Israele e i suoi confini in Cisgiordania! Arrendetevi e non ci sarà violenza. Non abbiamo intenzione di sparare se voi non lo fate.” Dall’interno, le parole di Moshe risuonarono ovattate. Un istante di silenzio attraversò l’intero gruppo ribelle. Fatima guardò Leila. “Ci hanno preso per una cellula di Hamas, se non volessero davvero combattere?” Leila scosse il capo. “Loro non vengono mai per trattare. Se cediamo, saremo morti comunque.”
E con quella sentenza, il gruppo di ribelli aprì il fuoco. Il primo colpo colpì un soldato israeliano alla spalla, costringendolo al riparo dietro un albero. L’unità esplose in un immediato caos organizzato: uomini che si buttavano a terra, cercando protezione, mentre rispondevano al fuoco con precisione, non si aspettavano di trovare un gruppo ribelle in questa città. Moshe si abbassò dietro una roccia, sparando un colpo a caso per respingere un ribelle. La cantina era diventata un campo di battaglia. Nour caricò un fucile da cecchino recuperato e si posizionò su una trave rialzata della cantina. La sua mira era eccezionale: abbatté un soldato con un colpo netto alla gamba, fermando momentaneamente l’assalto dall’esterno. Leila e un giovane ribelle di nome Karim si mossero insieme attraverso un tunnel secondario per attaccare il fianco della squadra israeliana. Nonostante i limiti in armamenti e risorse, il gruppo di Leila combatteva con una ferocia che sorprendeva Moshe. “Stanno difendendo qualcosa,” rifletté, mirando contro uno dei tiratori. Con un colpo rapido, ferì un uomo al braccio. Per un attimo, una delle ribelli cercò di avvicinarsi alla posizione israeliana. Moshe, vedendola, si spostò velocemente e riuscì ad abbatterla, interrompendo l’avanzata. L’intera battaglia sembrava diventare sempre più selvaggia, finché un colpo di bazooka non esplose a pochi metri dalla posizione di Moshe. Una nube di polvere e fumo oscurò la vista. “Copritevi!” gridò. Diversi suoi soldati erano stati feriti gravemente. La situazione si stava rapidamente deteriorando.
Nella confusione, Leila, Nour e Fatima avanzarono riuscendo a raggiungere il nemico Israeliano. Dopo un calcio ai testicoli a sorpresa da sotto, al colonnello cadde la pistola, ricevette poi un pugno da Fatima. Con la sua forza riuscì comunque a ribaltarla schiacciandola con il suo peso, da dietro Nour lanciò un grande calcio ai coglioni di Moshe, prendendo anche l’inguine della sua amica, che però subì sicuramente meno dolore rispetto al suo rivale maschio. Leila concluse la battaglia puntando la pistola alle palle dell’uomo “Ora vediamo cosa succede quando sono le donne a comandare il gioco.” Con una trave in testa Nour lo fece svenire. I soldati israeliani rimanenti, vedendo il proprio colonnello catturato e con i ranghi ridotti, cominciarono a ritirarsi. “Portatelo dentro,” ordinò Leila, indicando Moshe. Due ribelli sollevarono il colonnello privo di sensi e lo trascinarono verso la base. “Sapevo che sarebbe stato complicato, ma così é davvero difficile, vediamo che informazioni riusciamo ad ottenere anche da questo” mormorò Leila, pulendosi la fronte sudata. Ma negli occhi brillava un fuoco inesauribile. Non si sarebbe fermata. Non ora.
Il palazzo di Sami Darwish era una fortezza, un’opera architettonica grandiosa ma asettica, costruita più per intimidire che per accogliere. Le mura spoglie erano adornate solo da simboli di potere: medaglie, fotografie che lo ritraevano con altri uomini influenti della regione, e sculture che rappresentavano la forza maschile. Nel salone principale, Sami sedeva su un imponente trono di legno. Lo sguardo gelido scrutava le persone davanti a lui. Davanti a Sami erano inginocchiate due giovani donne, entrambe con gli occhi bassi. Avevano un abbigliamento di umile provenienza, segni del lavoro e della povertà. Avevano osato protestare contro una recente direttiva che tagliava i salari già esigui per il lavoro nelle fabbriche tessili della città, molte delle quali sotto il controllo di Sami. "Vi ho dato una possibilità, e voi mi ripagate con l’arroganza" disse Sami con voce calma.
Una delle due, dai capelli arruffati e dagli occhi pieni di rabbia, osò alzare lo sguardo. “Non possiamo vivere così,” mormorò. “Non abbiamo nulla da dare ai nostri figli… mentre tu accumuli ricchezza!” La sua voce si spezzò nell’ultima frase. Sami sorrise, un’espressione che non era altro che una maschera di disgusto velato. Fece un cenno ai suoi uomini, due guardie armate che afferrarono la giovane per le braccia. "Se non hai nulla da offrire, forse troverai un modo più utile per ripagare i tuoi debiti," disse. Un accenno di perversa minaccia permeava le sue parole. La donna gridò, ma Sami non prestò attenzione mentre veniva trascinata fuori dalla stanza. La seconda donna, che non aveva detto una parola, tremava come una foglia. “Tu cosa farai?” chiese Sami con uno sguardo inquisitorio. La donna non rispose, ma le lacrime le rigavano il volto. Sami si alzò lentamente, si leccò due dita e passò la sua visicida saliva sul viso della donna, gustandosi le lacrime. Poi scosse la testa dicendo “vattene, prima che io cambi idea.”
Quando la stanza tornò silenziosa, chiese “oggi sono di buon’umore, dove sono quelli… diversi.”
“Sono nell’ala nord, signore,” rispose l’uomo. “Il gruppo che abbiamo arrestato la scorsa settimana. Due di loro sono…” Il giovane esitò. “Sospettati di… immoralità.” Sami alzò un sopracciglio, compiaciuto dalla titubanza del suo subordinato. Si alzò e fece cenno di essere seguito. Raggiunse un piccolo cortile interno, dove tre ragazzi sedevano dietro sbarre di metallo, sotto un soffitto che lasciava entrare poca luce. Sami si fermò davanti alle sbarre. “Questo è il nostro problema,” mormorò. “L’illusione che si possa fare quello che si vuole. Che si possa essere diversi, divertirsi con chi più ci piace, ignorando quelle che sono le leggi della natura” Fece un gesto vago con la mano, come per indicare un disturbo insignificante. “Qui, nel mio dominio, esiste solo l’ordine. E chi non lo segue… beh, diciamo che non trova posto a lungo.”
Prese una lunga asta di metallo appoggiata al muro e la passò lentamente contro le sbarre, provocando un rumore stridente e metallico. Gli occhi dei prigionieri erano pieni di paura. Sami si chinò leggermente in avanti, fissando uno dei due ragazzi che si tenevano per mano. “Sai cosa trovo divertente? Il modo in cui credete che l’amore vi salverà. È patetico.” Si rialzò e diede un colpo secco con l’asta sulle sbarre, facendo saltare i prigionieri. “Per oggi, vi lascerò riflettere. Domani deciderò se siete utili o… di troppo.” Sami tornò nella sala principale, lasciando dietro di sé il silenzio interrotto solo dal respiro affannato dei prigionieri. Tornato sul suo trono, sollevò il telefono cellulare squillante per rispondere. Una voce gli comunicava dettagli sugli spostamenti delle ribelli, ma c’era qualcosa di strano nell’intera situazione. Era davvero un alleato fidato, o qualcuno che cercava di giocare su più fronti?
Sami soppesò le informazioni, riflettendo. “Non c’è fiducia nel nostro mondo. Se chi ha parlato è davvero dalla nostra parte, allora vorrà dimostrarlo… in modo definitivo.”
Capitolo 10
Medio-Oriente Ballbusting: una guerra femminista
Un’avvincente storia femdom
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