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Chapter 2 by heykiza heykiza

What's next?

La ragnatela sul distributore automatico

"mi chiamo Elisa Mazzoli, ho sei anni e vengo da Firenze". Ricordo ancora quel giorno, erano passati anni e ancora mi ricordo come fosse ieri quasi ogni cosa; dal mio vestito rosa che mia madre mi costrinse ad indossare al volto della maestra, ricciolina e con un naso così aquilino da sembrare una di quelle streghe delle favole.

Se dovessi pensare al ricordo più remoto, certamente sarebbe quello e da quel giorno in poi, per quanto strano potesse sembrare, la violenza mi avrebbe accompagnato per il resto dei miei giorni.

Già da piccola mi mostrai molto irruenta e per niente femminile, eravamo solo bambini e durante gli intervalli ci dividevamo tra bimbe e bimbi. Tutti tranne me che non volevo stare tra le bimbe ma venivo respinto dai bimbi se chiedevo di giocare con loro.

Vedevo le bambine giocare con le bambole o raccogliere fiori, il solo pensiero di unirmi a loro mi annoiava, invece guardavo i bambini giocare col pallone o lanciarsi i sassi e volevo essere lì, con loro a divertirmi.

Questa mia inadeguatezza comportò un isolamento da parte di tutti gli altri e in pochi mesi nei quali i maestri videro una mia difficoltà nel relazionarmi, consigliarono ai miei genitori di farmi vedere da uno psicologo per capire cosa non avessi.

Io non avevo niente di strano, ero sana, volevo solo divertirmi, invece mia madre si preoccupava così tanto da spaventare perfino anche me.

Era sempre stata una donna molto premurosa, ricordo ancora quei suoi capelli rossi e quel suo viso lentigginoso, io e lei eravamo due gocce d'acqua. Le uniche differenze erano gli occhiali tondi e di plastica biancha che portavo io e la lunghezza dei capelli, infatti me li teneva sempre in un bruttissimo caschetto.

Due volte alla settimana vedevo una donna, questa mi parlava, parlava e cercando ogni volta di capire qualcosa su di me. Io semplicemente rispondevo che volevo giocare, divertirmi ma che non mi divertivo a fare le cose da femmina.

Più passava il tempo e più le cose peggiorarono, ero così arrabbiata del fatto che non avevo amici che una volta per farmi notare, aspettai l'intervallo e quando i maschietti stavano giocando a calcio io presi un sasso e lo lancia forte contro uno di loro.

Non mi sentii in colpa, restai ferma impassibile mentre tutto attorno a me diventò un putiferio, il bambino urlo tenendosi la parte ferita, notai dei rivoli di sangue sgorgare tra le sue dita.

Restai fissa ad osservare quella scena, il bambino che girandosi in lacrime mi urlò dietro qualcosa e le maestre che mi presero il polso sgridandomi.

Tutti urlavano attorno a me, muovendosi per portare via quel bambino ma io sentivo tutto come fosse in una cappa di vetro, come se quelle urla fossero lontane, i miei occhietti verdi non sbatterono le loro palpebre.

I miei genitori a casa mi rimproverarono tutta la sera senza però alzarmi un dito, cercarono di capire perché io avessi fatto tutto ciò, cercò di capirlo anche la psicologa e come avevo sempre risposto risposi anche in quell'evento. "volevo divertirmi". I ragazzi si lanciavano sempre i sassi per giocare, io semplicemente volevo iniziare quel gioco convinta che iniziandolo avrei giocato con loro, non volevo fare male a quel ragazzo.

Questo ragionamento non uscì mai dalla mia bocca, probabilmente mi avrebbe aiutato almeno in casa.

Ovviamente per quel che accadde fui ancor più vista male dai miei compagni ma capii una cosa, se quando mi prendevano in giro io rispondevo in modo fisico, loro smettevano immediatamente. Diventai quindi sempre più isolata, inizialmente volevo solo poter giocare coi bambini ma verso la fine dell'anno avevo imparato ad odiarli. I voti però erano buoni, l'unica pecca era il mio comportamento.

Andò avanti così per diverso tempo, anni!

Gli unici "amici" di cui disponevano erano i libri, leggevo tantissimo a volte leggevo al posto di fare i compiti, infatti il mio rendimento diminuì.

Nonostante fossi solo una bambina delle elementari tenevo sempre la testa tra le pagine aperte di un libro, ovviamente con un target adatto agli anni di quei tempi. Man mano che crescevo venivo attratta da storie sempre più complesse ma il libro che mi cambiò per sempre la vita fu la storia di un soldato della seconda guerra mondiale, leggendo quel racconto mi immersi in un mondo che con la mente di una bambina di quinta elementare era fighissimo.

Ricordo ancora la faccia della mia povera mamma quando tornando a casa le dissi che da grande avrei voluto andare in guerra.

Per mio padre quello era un mio periodo transitorio, lui oltretutto non era molto presente in casa facendo il tranviere, era grassoccio ma molto alto.

I suoi capelli neri erano tenuti semi rasati e stempiati, la sua mascella era grossa, vellutata da barba tenuta ben curata mentre gli occhi scuri e Profondi.

Quando si arrabbiava mi spaventava parecchio, oltretutto non ho un ricordo di lui che giocava con me. Me lo ricordo perennemente stanco o innervosito, gli dava perfino fastidio quando mangiavo le patatine e scricchiolavano sotto i denti.

Quel periodo venni riempita di regali, le cose più femminili possibili, ma più mi venivano fatti certi doni, più li disprezzavo.

I giorni scorrevano e nella noia di una bambina isolata dalla classe e senza amici creai un amico immaginario, Joky si chiamava ed era uno scoiattolo verde con un cappello da cowboy, giocavo con lui quando tornavo a casa e stavo nel mio cortile e con lui mi trovavo bene perché sapeva capirmi, infatti giocavo a tutti i giochi che non potevo fare con gli altri bambini.

Una volta giocando alla guerra di sassi che con Joky lo colpii in piena fronte ma lui a volte imbrogliava e se li faceva passare attraverso, fu così che ruppi un vaso.

Quella volta fui picchiata da mia mamma sempre più arrabbiata per il mio comportamento, Joky mi domandò scusa più di una volta ma io gli rispondevo sempre di non farsene una colpa ma che non doveva più imbrogliare.

Arrivata in quinta elementare non vedevo l'ora che l'anno terminasse, sapevo che poi sarei andata in un'altra scuola con altri insegnanti e altri compagni di classe, la mia intenzione era soltanto resistere quell'anno per poi ricominciare da zero coi nuovi compagni, nessuno mi avrebbe conosciuto li e quindi potevo rifare tutto da capo e trovare finalmente qualcuno con cui fare amicizia.

Quanto mi sbagliavo... alle medie fu anche peggio, alcuni dei ragazzi e ragazze in quella classe si conoscevano già quindi da subito si formarono i gruppetti e io rimasi esclusa, un'altra volta.

Ogni intervallo restavo sul banco, tanto non aveva senso uscire nei corridoi, ero praticamente un fantasma, troppo rossa e troppo lentigginosa, le vessazioni diventavano anche più pesanti e personali, se qualcuno doveva passare e di mezzo c'ero io non mi chiedevano permesso ma semplicemente mi spintonavano.

Ogni mattina quando veniva fatto l'appello al mio nome qualcuno spernacchiava sulla mano e in palestra, nonostante avessi i risultati migliori della classe, venivo derisa. Un giorno presero il mio cambio e lo misero sotto la doccia con tutta la borsa e fui costretta ad andare in giro coi vestiti usati in palestra. Ovviamente insultata anche sul fatto che puzzavo che fossi una puttana sciatta.

Li odiavo ma ancor di più odiavo me stessa perché non dicevo niente, sapevo di poter prendere a schiaffi chiunque in quella classe ma non dicevo niente.

Sfogavo tutto a casa, piangendo o tirando pugni contro un sacco da boxe che avevo appeso in camera.

A mia madre non piaceva come fosse arredata, mi credeva lesbica e me lo chiedeva di continuo, mi domandava se fossi attratta dalle donne ma in verità a me i ragazzi iniziavano già ad interessare.

Non quelli della mia scuola ovviamente. Presi una cotta adolescenziale per il cantante dei sum41 e dei Greenday. Infatti insieme a libri sulla seconda guerra mondiale e oggettistica inerente ad essa, vi erano i poster delle due band. Mi piaceva quel genere musicale e non ascoltavo soltanto loro ma altri gruppi come i linkin park o un gruppo chiamato panic at the disco.

Tutti i pomeriggi passato allo stesso modo, musica mentre mi allenavo o leggevo alle volte riuscivo a combinare le tre cose insieme; ascoltavo musica e mentre facevo i piegamenti con i piedi contro la parte sotto del letto, tenevo in mano un libro che leggevo.

Alle volte facevo così tanti esercizi che mi ritrovavo sfinita per terra senza la forza di rialzarmi e quando questo accadeva ero contenta, significava che avevo dato il massimo del mio potenziale e che quindi non avevo sprecato quella giornata.

A me non interessava prendere una rivincita sugli stronzi dei miei compagni ma volevo dimostrare a me stessa di essere migliore di loro, continuavo a pensare che compiti i 18 anni mi sarei arruolata nell'esercito e dovevo solo allenarmi per e niente più.

Solo quello era importante, fanculo gli amici, le feste e cazzate simili, io sarei diventata qualcuno e loro avrebbero fatto una vita comune, normale e misera.

In seconda media fui espulsa dalla scuola... mi fecero perdere il controllo e ne pagarono le conseguenze.

Una mattina arrivai in classe quando già alcuni dei miei compagni erano arrivati, posato lo zaino mi accorsi di un biglietto nel sotto banco così lo afferrai tenendolo sulle cosce per non farlo vedere a nessuno.

"ma che cazzo..." dissi una volta letto, era la dichiarazione di un amante segreto che mi diceva quanto amava i miei capelli rossi e le mie lentiggini ma non solo, lui mi capiva perché era solo come me.

Nei primi attimi ci cascai come una stupida ma realizzai quasi subito che si trattava di un brutto scherzo, così non gli diedi molta importanza ma ero comunque curiosa di vedere cosa sarebbe successo se fossi andata ai distributori durante l'intervallo, proprio come mi indicava questo fantomatico amante segreto. La campanella suonò e invece di restarmene sul banco a leggere mi alzai e sistei la gonna lunga a scacchi marrone e caramello che indossavo quel giorno.

A passo tranquillo percorsi la strada fino le macchinette prendendo un the in lattina, non feci in tempo ad aprirlo che si presentò un ragazzo della mia classe, lo guardai stupita mentre lui mi afferrò e mi premette contro il vetro della macchinetta con la chiara intenzione di baciarmi.

A quel punto credetti davvero che era innamorato di me e il mio cuore impazzì, non avevo mai baciato un ragazzo e non ero proprio sicura di volerlo fare in più sentii l'aria mancarmi e mi spaventai parecchio.

Lui però s'avvicinò al mio viso e quando fu a pochi centimetri mi prese la fronte e la picchiò contro il vetro della macchinetta.

"ma davvero pensi che bacio un cesso come te?" disse ridendo con gusto, in quel preciso momento mi accorsi che le persone attorno a noi erano quelli della mia classe e stavano ridendo, un crekers mi colpì in testa e un brick vuoto di succo mi raggiunse il petto.

"troia, devi morire"

"schifosa, subito a farsi baciare" erano degli esempi delle dolci parole che mi vennero dette quel giorno mentre tutti attorno a me ridevano e mi lanciavano addosso qualcosa.

Abbassai la testa, stavo quasi per piangere ma piuttosto che farmi vedere in lacrime da loro decisi che era giunto il momento di punirli, così afferrai il ragazzo che avevo difronte e con violenza lo fece sbattere contro il distributore.

"e se ti sbatto io la testa?!" gli urlai mentre prendendo la sua nuca continuai a fargli picchiare il volto sul vetro fin quando non si scheggiò come una ragnatela e dal naso del mio compagno di classe uscì sangue.

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