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Chapter 11
by Esseremicidiale02
Capitolo 11
Il patto segreto
La porta dell'ufficio del generale Eitan Abramov, nella quale era stata richiamata, era socchiusa. Yael Ben-Abi, caporale dell’esercito israeliano, si fermò per un istante. Con una mano sistemò il la divisa, facendosi forza per ciò che la aspettava. Era una giovane donna temprata dalle battaglie, ma ogni volta che si trovava faccia a faccia con Abramov sentiva montare un misto di rabbia e ribrezzo. Il Generale era una figura imponente, tanto fisicamente quanto nella reputazione. Aveva una corporatura massiccia, segnata da anni di addestramento militare e una vita in prima linea. I capelli erano grigi con ciocche di nero superstiti, tagliati corti e sempre ben ordinati. La pelle era abbronzata e segnata da profonde rughe, testimonianze di un’esistenza vissuta in mezzo alla battaglia. Sull’uniforme aveva molte medaglie luccicanti. Sul polso spiccava un costoso orologio d’oro, un dettaglio ostentato, in contrasto con l’idea di un soldato umile.
“Caporale Ben-Abi,” iniziò Abramov, alzando appena lo sguardo mentre Yael entrava e si posizionava sull’attenti. “Ho saputo che hai negato del divertimento ai miei ragazzi poco fa, e quanto ne so non é la prima volta.” Yael si limitò a restare in silenzio, come imponeva il protocollo, anche se il sarcasmo nella voce di Abramov la faceva ribollire. Lui lasciò cadere una cartellina sulla scrivania e si piegò in avanti, fissandola con quegli occhi azzurri glaciali. “Ascoltami bene, Ben-Abi,” continuò con voce dura. “Tu sei qui perché fai un lavoro che non è completamente disastroso. Ma lasciami chiarire una cosa: non sei speciale. Nessuna donna nell’esercito lo è. Se oggi hai una divisa e un ruolo è solo perché siamo costretti a mostrarci 'progressisti' e ‘inclusivi’ agli occhi del mondo.” Yael strinse i pugni dietro la schiena, controllandosi a fatica. “Con tutto il rispetto, Generale, mi trovo qui per le mie competenze, non per la propaganda.”
Abramov alzò le sopracciglia e un sorrisetto velenoso gli incurvò le labbra. “Le tue competenze, dici? Interessante. E dimmi, Ben-Abi, quale competenza ti permette di contraddire con me?”Prima che Yael potesse rispondere, Abramov si spostò velocemente, afferrandola per il collo della divisa. La tirò in avanti e con la sua mano massiccia le schiantò la faccia contro il legno della scrivania, facendole sanguinare il naso. Il posacenere con dentro un sigaro a metà tintinnò per il movimento.“Un uomo al tuo posto ora chiederebbe scusa,” ringhiò, la voce un basso minaccioso accanto al suo orecchio. “Forse vuoi dimostrarmi che sei capace di essere migliore?” Il dolore alla testa pulsava mentre Yael serrava i denti per non cedere. Non era la prima volta che subiva simili abusi di potere, e non sarebbe stata l’ultima. “Mi scusi, Generale,” rispose infine. Il Generale si tirò indietro, lasciandola andare, ma lo sguardo di disprezzo non abbandonò i suoi occhi. “Le donne come te devono sapere dove stanno i loro limiti, Caporale. Questo esercito non è un campo da gioco, e tu non sei l’eroina di nessun film di propaganda femminista. Ricordati sempre che basta un errore per far crollare la tua carriera e anche quella di tuo padre.” La menzione di suo padre la fece irrigidire ancora di più. Eitan Abramov era noto per usare le relazioni familiari per destabilizzare i suoi subordinati. Yael sapeva però che in quel momento, l’unica cosa giusta da fare era quella di stare in silenzio. Si alzò, sistemandosi i capelli e nascondendo l’umiliazione che le bruciava dentro.
Abramov accese il sigaro lasciato a metà, inspirando profondamente. “Ora senti bene cosa ti dico,” riprese “nelle prossime missioni non fare l’errore di risparmiare i terroristi, gli arabi sono come cimici, fanno schifo anche quando li calpesti.” Yael era disgustata ma doveva continuare ad ascoltare il generale. “Non porti sopra i tuoi superiori, sei qui per eseguire ordini, non per improvvisare. Mi aspetto che obbedisca agli uomini in comando e che tu non superi mai il limite. È chiaro?” “Cristallino, Generale,” rispose Yael, con un tono pacato e deciso. Abramov annuì, emettendo una breve risatina. “E un’ultima nota positiva…” Si alzò, girando intorno alla scrivania. “Ho saputo che, durante l’ultima missione, hai eliminato…il testicolo di un arabo. Voci raccontano che tu glielo abbia fatto esplodere con soltanto la pressione del tuo piede. Brava, Ben-Abi.” Fece una pausa, fissandola con il suo tipico sguardo glaciale. “Ma la prossima volta non lasciare il lavoro a metà.”
“Sarà fatto,” disse Yael, senza mostrare alcun segno di emozione, uscendo dalla stanza in attesa di partire per la prossima missione. Prima o poi si sarebbe presa la propria vendetta.
La caporale Yael Ben-Abi uscì dal quartier generale ancora con il segno sulla testa, causato dal Generale. Le parole di Eitan ronzavano nella sua testa: “Non fare l’eroina, Ben-Abi. Obbedisci, non superare i limiti, e ricorda che la tua carriera dipende da me”. Nonostante il dolore, Yael si strinse nei ranghi dei soldati al check-in delle pattuglie. Ad aspettarla c'era la sua squadra. Il primo membro era il Caporale Ben Zvi, alto, con un sorriso strafottente stampato in volto, l’espressione di chi sottovalutava sistematicamente tutti tranne sé stesso. Il suo primo commento non si fece attendere: "Finalmente sei qui, Ben-Abi. Speravo che il nostro glorioso generale non ti avesse cacciato via. Sai, pensavo che solo io avessi il diritto di brillare in questa missione. Ho richiesto esplicitamente di essere messo con te, del resto mi hai tolto i miei giocattoli."
Yael lo fissò con freddezza e ribatté, con una voce fredda come una lama: "Mi ricordi qualcun altro. Uno con la tua stessa aria di superiorità. Ah, già, le sue palle sono calciate molte volte nella scorsa missione, alla fine sembravano due grosse angurie aperte, ti conviene fare meglio per non finire così”. David, anche lui nella squadra, deglutì sapendo di essere il soggetto della discussione. Sottomesso, ma ormai devoto e affidabile. Aveva imparato a venerare Yael come la propria padrona, la quale tramite umiliazione gli aveva fatto finalmente capire i danni del patriarcato e di come anche gli uomini ne fossero vittime. Restò in disparte, limitandosi a seguirla con lo sguardo, anche se non riusciva a smettere di fissarle il culo. Infine era presente il soldato Refael, più adulto, taciturno, con uno sguardo serio e impostato. Uno dei classici soldati fedeli che segue ciecamente il regime ma di fatto non é una brutta persona.
Il briefing della missione era stato semplice ma vago: esplorare una piccola area rurale a sud di Gaza per segnalare la presenza di sospetti legati a Hamas. Per Yael queste erano davvero le missioni più utili perché smascheravano i criminali di Hamas e non andavano a colpire inutilmente civili, come invece veniva fatto durante i bombardamenti. Gli ordini impliciti erano chiari: qualsiasi ostacolo doveva essere eliminato.
La giornata calda aggiungeva un ulteriore peso sulle spalle dei soldati, mentre percorrevano i terreni polverosi al confine. Erano appena scesi dal loro mezzo perché avevano trovato delle traccia fresche, avrebbero proseguito a piedi. La squadra avanzava in formazione compatta, con Yael in testa e Ben Zvi poco distante. Il ragazzo arrogante non poteva fare a meno di lanciare frecciatine, ogni frase carica di arroganza e sarcasmo: "Ti piace comandare e dominare, eh, Ben-Abi? Un po' strano per una donna." Yael si voltò leggermente, lo fissò con un sorriso dolce, per poi cambiare espressione in un battibaleno e tirarli un grosso calcio nei testicoli. Gli stivali neri militari erano tornati, con un calcio che di certo non deludeva i precedenti. Mentre Ben Zvi era steso a terra con le mani sullo scroto urlando dal dolore, la ragazza israeliana prese dolcemente parola: "Forza Ben Zvi alzati, oppure preferisci che sia una donna a farlo." Rafael rimase impassibile e aiutò il compagno ad alzarsi mentre David non poté fare a meno di sorridere sotto il naso.
I soldati si trovarono di fronte a un accampamento improvvisato, un agglomerato di tende rudimentali protette da teli tirati su alla meglio. Sembrava un luogo abbandonato in fretta e furia. Non c’erano segni di vita, e la totale assenza di suoni creava una tensione insopportabile. Yael, osservando con attenzione, cercava di percepire qualcosa che non fosse immediatamente visibile. "Ok, questo è alquanto bizzarro," disse, serrando il fucile tra le mani. Ben Zvi emise un’esagerata risata nervosa. "Forse hanno sentito che arrivavamo e se la sono data a gambe. Solito effetto che faccio sulle persone," aggiunse, ma nessuno rise con lui. Yael si voltò con uno sguardo gelido, intimandogli di stare zitto. "D’accordo," iniziò Yael, prendendo il comando come sempre. "Ci dividiamo. David, vieni con me. Ben Zvi, prendi Refael e controllate l’area a destra. Controllate in silenzio e fate attenzione. Qualcosa qui non quadra."
Ben Zvi e Refael si avvicinarono per primi a una tenda arancione apparentemente vuota. Lo spazio era disseminato di vecchie stoviglie, stracci e un contenitore d'acqua capovolto. "Tipico scenario di una fuga improvvisa," mormorò Refael.
Improvvisamente, un rumore sordo. Ben Zvi fece un cenno e si girò in direzione della sorgente del rumore. Fece un passo avanti, spostando con il fucile la tenda scivolata, quando una figura scattò fuori dall'ombra e lo colpì brutalmente con una ginocchiata ai testicoli, per poi farli volare il fucile a lato con un colpo di mano. Ben Zvi esclamò con poca forza in gola un piccolo verso “uhg”, ma la ragazza non aveva mica finito. La mano che aveva fatto volare il fucile si racchiuse all’interno dei pantaloni di Ben intrappolandoli in una stretta morsa i coglioni e iniziando a stringere, lui provò a tirarle una testata ma fallì e lei ne approfittò per intensificare la presa. Non appena lo mollò, fece qualche passo indietro e con una sorta di passo di danza colpì fortissimo i testicoli del ragazzo. Voleva urlare ma lei li tirò una gomitata in faccia. Mentre era stordito dal colpo disse silenziosamente “sembri un vero stronzo, ti infliggerò una punizione esemplare”. Con un movimento lesto e un bastone appuntito tagliò un testicolo del caporale, il quale si rese conto pochi secondi dopo che metà della sua virilità era stata appena persa. Cadde a terra contorcendosi di dolore mentre il testicolo sanguinava e spruzzava sangue ovunque. Amina si gettò di culo prima sui suoi testicoli, trasformando definitivamente in polpa quello che ormai aveva tagliato, e in seguito sulla sua faccia facendolo svenire da dolore. Prese un leggero panni sporco e lo arrotolò intorno al testicolo ormai mancante, giusto perché non voleva morisse dissanguato.
La ragazza era proprio Amina, la Volpe del Deserto, la quale, dopo aver finito con il primo nemico, iniziò ad avvicinarsi silenziosamente a Refael. Mentre lui era distratto a guardare qualche cianfrusaglia lei lo disarmò con un doppio calcio che spazzò via il fucile. Il grosso uomo si mise in posizione quindi di combattimento ma Amina fu davvero veloce e tagliò leggermente una parte della gamba destra con la propria lama. Rafael appoggiò la gamba colpita in terra e Amina ne approfittò per tirare un grosso calcio nei testicoli utilizzando tutto il collo del piede. Con un calcio alla schiena lo scaraventò contro una tenda, la quale iniziò ad attorcigliarsi sul suo viso, in modo tale che non potesse vedere. La ragazza aveva individuato bene la posizione delle palle dell’uomo e le calpestò ripetutamente come stesse calpestando un insetto, utilizzando anche il tallone degli stivali. Rafael riuscì a raggiungere una lama nella tasca e a rompere la tenda ottenendo di nuovo la vista. Si lanciò sulla ragazza che però riuscì a scansarsi. L’uomo si guardò attorno confuso, aveva un rastrello sotto le gambe e Amina lo salutò muovendo la propria manina e con un sorrisetto. Con tutto il suo peso saltò sulla parte metallica e il bastone colpì con un forte impatto i coglioni dell’uomo dal sotto, facendolo svenire.
Amina si fermò, sistemando il velo nero da beduina che copriva parte del suo viso. I suoi occhi marrone scuro, profondi e carichi di decisione, osservavano gli altri movimenti nell’accampamento. Il mantello tradizionale che indossava si muoveva appena al vento, mostrando pantaloni rinforzati e una cintura che portava piccoli utensili da combattimento. Questa volta non aveva i suoi sandali, aveva dei forti stivali, forse rubati da qualche sventurato, erano stati adattati perfettamente per le necessità del deserto, mostrando segni di rinforzo artigianale sul cuoio.
Dall'altra parte del campo, Yael e David si muovevano in modo silenzioso. Non avevano sentito gli altri due cadere. Proseguirono verso il cuore del piccolo accampamento, osservando ogni angolo, ma non trovarono nulla. Poi, come un fantasma, Amina scattò fuori da un punto cieco, sembrava Nike, la Dea della velocità. Con una precisione spaventosa colpì David direttamente all’inguine con la punta del suo stivale, facendolo piegare in due, avrebbe voluto urlare ma la Volpe del Deserto fu sufficientemente veloce a bloccarli la bocca con la propria mano sudicia e a buttarlo in terra a gambe aperte, sulle quali iniziò a tirare molte ginocchiate prendendo sempre e centrando i testicoli. Decisa, tirò fuori un anello appuntito che infilò prima nel buco del suo pene, causandoli un dolore indescrivibile. Fece per colpirli la gola ma Yael si accorse del pericolo e puntò l’arma verso la beduina che riuscì con un salto a salvarsi e ad evitare il proiettile. David rimase accasciato a terra e riuscì solo a dire “anche lei ha un’arma”. Amina iniziò a sparare a Yael con una pistola tramite le tende, il tessuto veniva bucato ma la giovane israeliana riuscì ad evitare ogni sparo e a mettersi al riparo, per poi rispondere al fuoco. Presa dal panico però finì tutti i proiettili e poi pensò “fanculo, ora mi tocca combatterla faccia a faccia.”
Yael era pronta. Il silenzio era rotto solo dal vento che attraversava l’accampamento. Finalmente Amina apparve, anche lei aveva finito le munizioni, muovendosi in modo deciso verso Yael. La caporale israeliana capì immediatamente che non sarebbe stato uno scontro facile. "Eccoti, finalmente," disse Yael con una calma carica di tensione, preparandosi al confronto. Il primo scambio fu fulmineo: Yael provò a colpire Amina con il calcio del fucile, ma la ragazza beduina si abbassò agilmente, sferrando un calcio circolare diretto alle gambe di Yael. Quest'ultima si spostò in tempo, rispondendo con un pugno verso il busto dell’avversaria. Amina sfruttò la velocità a suo favore per colpire l’israeliana direttamente con un calcio nella figa, causandole un dolore che si irradiava in tutto il bacino. Yael cadde a terra e nonostante sentisse la pelle arrossata a e gonfia rispose, rialzandosi dal basso, con un potente pugno diretto nella vagina avversaria. Amina si piegò dal dolore cadendo sulle ginocchia, sentiva un livido cominciare a formarsi, la sensazione era quella di essere stata spaccata in due. Nonostante i colpi le ragazze continuarono a lottare. A un certo punto, mentre combattevano, iniziarono a dialogare. "Tu non appartieni a questa terra," ringhiò Amina. "Ah si? Pensi che stare con Hamas possa aiutarti a difendere questa terra?" replicò Yael, trattenendo un respiro affannato mentre schivava un altro colpo. Amina avanzò lentamente, gli occhi fissi su Yael come un predatore che valutava la sua prossima mossa. "Hamas non è la mia causa," rispose Amina, il suo tono carico di veleno. "Ma non siete meglio. Voi israeliani ci strappate la terra, ci trattate come bestie e vi nascondete dietro la vostra coscienza falsa." Yael schivò un altro colpo, le sue mani cercavano di raggiungere una presa difensiva senza infierire. "Hai finito la lezione di moralità? Hai ragione, la mia gente non è senza peccati, ma io non ho scelto questo conflitto. Combattere Hamas significa proteggere le persone, anche quelle come te."
"Non mi mescolare ai tuoi buoni propositi, soldato. Io non ho bisogno di protezione." Amina rispose con un tono duro. "Allora dimmi cos’è che vuoi," disse Yael con una voce più morbida ma ferma, approfittando del momento di esitazione. "Perché se è continuare a lottare fino alla morte qui e ora, avrai quello che cerchi. Ma se combattere Hamas è davvero il tuo obiettivo, allora possiamo trovare un’intesa."
Amina osservò Yael in silenzio, cercando di capire se quella promessa nascondesse un tranello. Lentamente, abbassò il bastone e fece un passo indietro, pur mantenendo una postura difensiva. "Come faccio a sapere che non mi sparerai alle spalle appena volterò le spalle?" chiese con freddezza. "Non lo farò. E tu non avresti tempo per difenderti se davvero volessi eliminarti," rispose Yael, indicando con un movimento il terreno vuoto. "Ma ascoltami bene: nessuno verrà a cercarti qui. Ho il comando della mia squadra e non segnalerò la tua posizione. Se stai fuori dalle operazioni contro di noi, nessuno metterà piede qui per disturbarti."
"Parole vuote. Cosa guadagni da questo, soldato? Le tue guerre sporche non riguardano me," replicò Amina. Yael la fissò, il volto tirato ma sincero. "Voglio una cosa sola: smettere di rincorrere morti inutili. E so che, alla lunga, anche noi ci ritireremo. Fino ad allora, tu tieniti fuori, e io farò lo stesso. Se non altro, stasera ci lasciamo vive."
Dopo qualche istante di silenzio, Amina fece un cenno. "Accetto, ma ad alcune condizioni. Voglio un ostaggio. Lui rimarrà con me," disse, indicando David impaurito. "Temporaneo," concordò Yael, avanzando di qualche passo verso Amina. Tirò fuori dalla tasca un piccolo taccuino, strapparne una pagina e scriverci sopra una frequenza di comunicazione crittografata e un semplice messaggio in codice. "È per restare in contatto. Se hai bisogno, o se le cose cambiano... usa questo," le disse. Amina guardò il pezzo di carta, diffidente ma interessata, e lo prese, piegandolo e mettendolo via.
Yael si girò verso i suoi uomini. Ben Zvi era ancora svenuto e Refael non sembrava completamente lucido. Piegandosi su quest'ultimo, Yael gli diede due schiaffi decisi alla sua grossa faccia, mettendoci più forza del necessario. "Ehi, svegliati. Sei con me?" Refael barcollò e grugnì. "Che diavolo...?" mormorò. "Sei stato colpito," gli spiegò Yael in tono calmo ma autoritario, mentre si avvicinava a Ben Zvi e lo sollevava leggermente. "Ben Zvi è ancora fuori combattimento, e David...David é stato catturato dai nemici, ne stanno arrivando altri, dobbiamo scappare o saremo catturati tutti.” Rafael si fece prendere dalla paura di essere catturato dai nemici, dopo quello che li era successo alle palle, ancora doloranti, in combattimento non poteva immaginare cosa avrebbero fatto al suo corpo se fosse stato catturato. Seguì quindi ciecamente gli ordini di Yael senza farsi troppe domande.
Amina rimase in disparte, osservando in silenzio mentre Yael e Refael raccoglievano Ben Zvi e si avviavano verso l’uscita. Prima di andarsene, Yael si voltò un’ultima volta, guardando Amina dritto negli occhi pensando “Abbiamo un patto. Non farmene pentire.” Quando la squadra si allontanò dal rifugio, lasciando David come garante, il primo passo verso una fragile ma significativa tregua era stato fatto.
Capitolo 12
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